PREFAZIONE ALLA SECONDA EDIZIONE

Dall’inizio della vita extrauterina, l’alimentazione e la respirazione costituiscono il sostegno ed il supporto indispensabile per l’energia vitale dell’individuo, in sostituzione di quanto avveniva durante la vita intrauterina, attraverso la barriera placentare: non esistono soluzioni alterantive né per l’accrescimento, né per il mantenimento della salute e della vita. Con la sua intelligenza e con le sue ricerche, l’uomo è stato capace di superare la maggior parte delle difficoltà che creavano condizioni incompatibili con la vita, utilizzando interventi chirurgici o terapie farmacologiche attuate anche con prodotti di sintesi.
Senza voler togliere nulla al progresso scientifico, questo libro nasce dalla costante osservazione della incredibile capacità riparativa della natura e di come quest’ultima possa essere spesso ostacolata proprio dal troppo frettoloso intervento dell’uomo. Tutte le Civiltà ci parlano di medicine naturali, frutto a volte di conoscenze empiriche, spesso di un sapere tramandato nel corso delle generazioni; senza eccezioni, tutte attribuiscono un’importanza fondamentale al mantenimento dello stato di salute del corpo, grazie al cibo.
Se l’umanità è sopravvissuta per migliaia di anni, quando ancora non esistevano i ritrovati della moderna ricerca medica e farmacologica, forse è ingiusto e privo di buon senso ignorare le osservazioni degli Antichi, considerandole poco scientifiche o ingenue, solo perchè ancora non adeguatamente verificate dalla scienza moderna.
Probabilmente, oggi sopravalutiamo il potere curativo dei farmaci, a discapito dell’utilizzazione della capacità terapeutica degli alimenti stessi e della possibilità di operare prevenzione delle malattie tramite una corretta alimentazione, una maggiore attenzione all’inquinamento atmosferico ed elettromagnetico e ad un ritmo di vita che sia più rispettoso della fisiologia del corpo.
Nel cibo naturale e genuino, opportunamente utilizzato, sono contenute tutte le potenzialità per costruire, sostenere e riparare. I neonati raddoppiano e triplicano il peso corporeo, costruendo ossa, muscoli e connettivo..., nutrendosi esclusivamente di latte; i più fortunati sono quelli che ricevono il latte materno, che non è né scremato, né pastorizzato, né liofilizzato, nè addizionato di alcunché, se la madre gode di ottima salute: inoltre, essi avranno una maggiore resistenza alle malattie durante tutto l’arco della loro vita perché, insieme al latte materno, assumono contemperaneamente tutti gli anticorpi della nutrice, realtà che la medicina ufficiale non può negare, nè sottovalutare.
Il neonato, alimentato artificialmente (laddove non ci fosse il latte materno), o attraverso le vie parenterali, certamente si accresce, ma tutti questi tipi di alimentazione molto spesso saranno responsabili dei danni, rilevabili nelle anamnesi future, in quanto l’organismo non è biologicamente predisposto all’accrescimento e allo sviluppo, se non attraverso il primo alimento che è il latte materno, fisiologica prosecuzione della gestazione.
Abbiamo avuto un periodo di tempo, dagli anni ‘60 agli ultimi anni ‘70, in cui l’importanza del latte materno veniva sottovalutata, se non addirittura ignorata, a vantaggio di prodotti artificiali, perfettamente bilanciati e completi, preferiti, inoltre, per la loro sterilità batteriologica e per la possibilità di affidare ad altri il neonato, disgiungendolo dalla madre, magari impegnata nel lavoro. Nella superbia della scienza, e a vantaggio delle ditte produttrici, si pensava di poter impunemente sostituire la natura. A distanza di anni, si è visto che gli individui alimentati con latte artificiale o animale, compreso il latte vaccino delle grosse aziende, hanno manifestato quasi tutti delle patologie che, se non corrette in tempo, peggioravano con l’andare degli anni.
Individui che oggi, a quaranta-cinquanta anni, presentano forme di allergie respiratorie, difficoltà digestive e stipsi ribelli alla terapia farmacologica, sono spesso soggetti che si rivolgono ai più vari specialisti, senza però riuscire mai più a ritrovare un fisiologico equilibrio intestinale. Se si ripercorre anamnesticamente la loro storia alimentare, si scopre molto spesso che alla nascita non hanno preso il colostro, o che sono stati allevati con latte vaccino industriale, o con latte artificiale prodotto chimicamente.
Senza dubbio, per rendere possibile la vita e la perpetuazione delle specie viventi, la natura fornisce tutto ciò che serve. Fin dal 1960, questa considerazione motivò la dottoressa Domenica Arcari Morini a studiare, osservandoli attentamente, gli effetti degli alimenti nella fisiologia e fisiopatologia del corpo, ponendo particolare attenzione alla diversità di azione di alimenti considerati analoghi (ad esempio, indivia riccia, indivia belga, scarola), nonché all’appetenza dell’individuo per determinati alimenti o alla diversa risposta dell’organismo allo stesso alimento in momenti diversi (o preparato e proposto in modo diverso), studiando infine l’interazione tra il cibo e il “momento” organico. Nel 1994, incuriosita dalle affermazioni e dai risultati vantati dalla ideatrice del metodo, la dottoressa Anna D’Eugenio iniziava la sua preparazione, seguita nel 1996 dal dottor Fausto Aufiero e dal dottor Vincenzo De Paola, a cui si sono aggiunti negli anni seguenti altri medici.
Attualmente, i medici in formazione per questo metodo sono aumentati e, quest’anno, inizia il sesto corso di formazione, della durata di quattro anni, presso il Centro di Ricerche e Studi di Medicina Naturale Applicata “Vis Sanatrix Naturae”, viale Parioli n.40 - Roma.
Il 15 maggio 1999 si è tenuto a Roma, presso l’Hotel Parco dei Principi, il Primo Convegno di Bioterapia Nutrizionale al quale sono seguiti, con cadenza annuale, il Secondo, il Terzo ed il Quarto ufficialmente sotto l’Alto Patronato della Presidenza della Repubblica Italiana e con il patrocinio della Presidenza del Consiglio dei Ministri, del Ministero della Salute, dell’Istituto Superiore della Sanità, del Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca Scientifica, della Croce Rossa Italiana, dell’Accademia di Storia dell’Arte Sanitaria, della Giunta Regionale del Lazio, della Provincia di Roma, dell’Amministrazione Provinciale-Assessorato ai Servizi Sociali e Politiche per la Comunità Familiare.
Come medici, siamo stati abituati a valutare solo ciò che è misurabile e pesabile, ritenendo veramente patologico solo quello che i sensi fisici e le macchine possono documentare; in realtà, la malattia inizia sempre molto prima come disturbo funzionale, per trasformarsi, poi, in vera e propria patologia, se non si sanno ascoltare, raccogliere ed interpretare tutti i segni che ripetutamente il corpo manifesta. Spesso accade che i responsabili delle patologie siamo proprio noi stessi in quanto, per comodità e pigrizia, ci alimentiamo e ci comportiamo in modo non conforme alle necessità organiche.
Infatti, se è dannosa la carenza di un principio nutritivo, altrettanto è dannoso l’eccesso dello stesso, ma a questa elementare verità pochi si uniformano, preferendo un’insensata gestione, purché non impegnativa.
Ecco perchè, in Bioterapia Nutrizionale®, le indicazioni sono a volte tassativamente precise (una sola arancia, 150 g di carne, ecc.); infatti, la fisiologia insegna che l’eccesso di una sostanza può bloccare una funzione, al pari di una sua carenza. Così come, se si blocca un braccio sano al collo con una fascia e lo si tiene fermo per una settimana, questo braccio “a riposo”, quindi non stimolato dalla sua funzione, perderà vigore e richiederà un tempo di recupero tre volte superiore rispetto a quello dell’inattività.
La vita è sostanzialmente attività ed è programmata per funzionare in modo dinamico, per cui il sostegno e la stimolazione costante è una regola fondamentale per ogni distretto organico. Invece, ogni volta che si usa un tutore dove non serve, l’effetto inevitabile è l’inibizione della funzione fisiologica autonoma dell’organismo. Se si dimentica, o non si sa mettere in pratica il concetto vitale che è “sempre la funzione che crea l’organo”, mai l’inverso, si finirà per impedire al corpo di funzionare, aprendo la strada alla disfunzione prima, e alla malattia poi.
L’energia è prima della struttura, la forza vitale “costruisce” la forma: questo è ciò che il medico trascura troppo frequentemente. Prendiamo ad esempio un diabetico insulino-dipendente: l’insulina somministrata dall’esterno è un tutore, a volte indispensabile, che però finisce per bloccare per sempre la residua capacità produttiva delle isole di Langherans, non evitando in tutto questo al paziente i danni a lungo termine del diabete. Questo tipo di regolazione glicemica non sarà mai fisiologica, non potendosi sostituire ai normali feed-back dell’organismo.
Questo libro è stato il primo di alcuni volumi in progetto, con i quali cercheremo di esporre chiaramente questa modalità innovativa di utilizzo dell’alimento sia in ambito nutrizionale, come in quello terapeutico, con il fine, forse ambizioso, di poter proporre una terapia possibile anche nei casi in cui la via farmacologica sia preclusa, vuoi da mancata risposta o da intolleranza ai farmaci, vuoi da posizione ideologica del paziente stesso.
Data la complessità dell’argomento, l’esposizione e l’apprendimento non possono che avvenire per gradi. In questo volume si affronterà un primo livello di conoscenza diviso in due parti. La prima riguarderà le regole nutrizionali fondamentali per salvaguardare la salute attraverso lo stimolo delle funzioni dei vari apparati; la seconda parte tratterà a livello generale quegli argomenti che saranno approfonditi nei volumi successivi e nelle monografie, proponendo qualche soluzione di immediato utilizzo al fine di poter sperimentare subito la validità del metodo.
Poiché lo strumento terapeutico in Bioterapia Nutrizionale® è rappresentato solo dagli alimenti, il secondo volume, già pubblicato, tratta esclusivamente di questi ultimi e delle loro associazioni. In particolare, per ognuno di essi, sono studiate anche le modalità di cottura e l’azione sui vari organi ed apparati.
Nel terzo volume verranno affrontate in modo esauriente le patologie e il modo di gestirle, mentre nel quarto saranno affrontate le difficoltà cliniche “sul campo”, con tutte le implicazioni.
A parte, e con tempi diversi, cercheremo di rendere disponibili delle monografie su singole patologie.
Una certa incompletezza su alcuni argomenti di Bioterapia Nutrizionale nella prima edizione del 1999 ci indusse da subito a lavorare per colmare qualche lacuna nella forma e nel contenuto. I lusinghieri apprezzamenti da parte di tutti i lettori, rispetto a questa “materia” così nuova eppure così antica e intrisa di buon senso, insieme agli utilissimi suggerimenti di cui abbiamo fatto tesoro, ci hanno indotto, in questa seconda edizione, a stravolgere in parte l’architettura dell’opera, allo scopo di renderla più organica ed esaustiva dell’argomento. Infatti, il lettore della prima edizione si troverà di fronte ad un libro modificato, nel quale alcuni capitoli sono stati interamente rielaborati, altri rivisitati e corretti.
Ancora una volta, lo scopo del libro non è quello di fornire soluzioni univoche e definitive agli innumerevoli problemi ed ostacoli che le abitudini della moderna civiltà pongono al mantenimento della vita e della salute, ma quello di suscitare nel lettore domande e riflessioni, informandolo in base alla nostra esperienza. Se lo Spirito, per tutto il tempo della vita terrena, ha bisogno del corpo per avere coscienza di sé, rispettare quest’ultimo è, non solo una necessità, ma un dovere. Se voglio che la mia automobile mi trasporti per il mondo, dovunque decida la mia libera volontà, come posso ignorarne la corretta manutenzione?
Il risultato di questo nostro lavoro si propone all’attenzione dei lettori, con la speranza di interessarli ed informarli più di quanto non sia stato possibile con la prima edizione.

INTRODUZIONE

L’alimento, come tutto quello che viene in contatto con il nostro sistema vivente, per essere utilizzato ed entrare a far parte di noi deve, prima di tutto, essere “riconosciuto”, poi destrutturato, fin quando i singoli componenti dell’alimento stesso non siano interpretati come “utili”, sia per l’assorbimento che per le funzioni alle quali sono idonei e destinati. Quindi, quanto introdotto deve essere ridotto fino ad arrivare a quella minima entità strutturale che venga “riconosciuta” come “idonea”, tenendo sempre presente la condizione funzionale degli organi preposti alla digestione.
Dai progressi dell’endocrinologia poi, è stato dimostrato in modo inequivocabile che un conto è la quantità di ormone secreto, un conto la sua biodisponibilità circolante, un conto infine la capacità di utilizzazione recettoriale, quindi del “come” interagisce con il suo effettore finale.
Un alimento, introdotto nel tubo digerente, viene gestito dal corpo con particolari modalità. Per questo motivo, il destino dei componenti alimentari è legato schematicamente a due fattori: il primo è quello proprio delle sue specifiche caratteristiche chimiche, il secondo invece, ed è quello più importante, dipende da ciò che il corpo in quel momento sta facendo e quindi dai suoi momentanei e dinamici bisogni e dalle sue particolari condizioni.
Questa diversità nell’utilizzo metabolico è più facile osservarla nella donna che non nell’uomo; infatti, nell’economia della fisiologia femminile, uno stesso stimolo della tiroide tramite il pesce o altri alimenti ricchi di iodio, nella prima fase del ciclo stimola l’ovaio alla produzione di estrogeni e nella seconda fase promuove la produzione di progestinici.
Stessa considerazione può valere per i bioritmi circadiani, per i quali alimenti stimolanti la funzione surrenalica, come l’uovo, il sale, le proteine, ecc. sono ottimali nelle ore del mattino, mentre di sera possono disturbare il sonno.
Altra considerazione generale è che il tubo digerente nella sua totalità è in qualche modo una parte del mondo esterno che si trova al nostro interno, ed è comunque il mediatore che trasforma il mondo esterno in noi. Tutti i processi che avvengono in questo senso sono ancora in gran parte sconosciuti, poiché la vita dell’alimento deve essere totalmente “uccisa” per poter essere resa nostra. Quando questo non avviene, o avviene solo in parte, una informazione vitale estranea penetra illecitamente in noi, provocando immediatamente malattia.
In realtà, non esistono processi patologici che non siano inquadrabili nelle leggi di natura. Ciò che bisogna capire è che la malattia e la sofferenza è dovuta unicamente alla presenza, illecita o fuori tempo, di determinati processi naturali in ambiti organici nei quali non dovrebbero avvenire. Che cos’è, infatti, l’allergia se non la penetrazione di frammenti del mondo esterno ancora contenenti l’informazione riguardante un’altra forma vitale che non è la nostra, o una suppurazione con batteri facenti parte della natura e che svolgono le loro funzioni “normali” di crescita e riproduzione in un luogo organico dove non dovrebbero essere? Gli esempi potrebbero essere estesi a tutta la patologia, da quella autoimmune a quella degenerativa, dai tumori ai disturbi psichiatrici.
In sintesi, un individuo in equilibrio, con una ottimale capacità di distinzione del self dal non-self a livello biologico, emozionale e mentale, ha anche la capacità intestinale di rendere completamente suo ciò che assimila, destrutturandolo quanto basta ed eliminando con gli emuntori ciò che deve essere eliminato. L’osservazione attenta e quotidiana del paziente, protratta nel tempo, fa riflettere su alcuni punti essenziali riguardanti prima la diagnosi e poi la terapia, quale che sia la metodica che il medico intenda utilizzare.
La prima considerazione è che l’organismo manifesta sempre in modo chiaro e preciso, attraverso i sintomi, quelli che sono i suoi deficit e le sue difficoltà. Se il medico impara ad ascoltare il malato e si riappropria di quelle capacità semeiologiche, oggi delegate troppo al laboratorio, scoprirà che il paziente fornisce sempre tutte le informazioni necessarie alla diagnosi ed alla cura dei suoi disturbi.
Altra considerazione è che le malattie iniziano sempre in modo “semplice”. Infatti, per un tempo più o meno lungo, l’organismo cerca di attuare da solo dei processi di guarigione. Solo quando questi non riescono, vengono messi in atto processi di compenso o di vicariazione per avere il minor danno vitale possibile dal persistere del disturbo. Già in questo stadio è più difficile curare, perchè la patologia si presenta “stratificata” ed intricata. Ma la cosa peggiore, quella che rende veramente problematico il recupero della salute, è il danno operato da terapie farmacologiche spesso premature, talvolta inopportune, se non addirittura improprie. Sembrerebbe eccessivo, ma purtroppo l’utilizzo del farmaco non è quasi mai mirato e ridotto al minimo indispensabile; tendendo oggi la medicina sempre più ad utilizzare il presidio terapeutico per sostituire le funzioni alterate, piuttosto che per cercare di recuperare le stesse.
Questa gestione così “sottile” è affidata solamente all’abilità clinica del medico nutrizionista e alla sua fatica quotidiana nel capire il dinamismo clinico continuo espresso dai sintomi del paziente. La Bioterapia Nutrizionale è difficile perchè esistono solo linee guida generali, non essendo possibile formulare regole assolute, nella misura in cui non esiste un malato che, a parità di patologia, abbia delle reazioni perfettamente sovrapponibili a quelle di un altro affetto dalla medesima patologia. La standardizzazione, che tante certezze sembra dare in Medicina, in realtà non risponde mai alla realtà clinica.
Bisogna ritornare a quella che una volta veniva definita “arte medica” come sintesi di tecnica e di abilità intuitiva, con una compenetrazione fra medico e paziente affinché si realizzi in modo completo l’atto medico, come azione mirata ad ottenere un risultato terapeutico verso la guarigione, non solo verso la riduzione o la soppressione dei sintomi. Oggi, invece, sembra prevalere sempre di più la tecnica, ma questo non giova nè al medico nè al paziente. Il tipo di approccio alla malattia da parte della Bioterapia Nutrizionale è lontanissimo da quella tendenza alla fretta e ad un generico efficientismo, tipico di molte strutture sanitarie moderne. Nel nostro caso, l’impostazione della terapia alimentare parte da una ipotesi diagnostica quanto più precisa possibile, che poi si definisce nel tempo, tanto quanto più il medico conosce il paziente sotto tutti i punti di vista, organici, psicologici e funzionali, seguendo le informazioni di ritorno che il paziente stesso gli fornisce come risposta alle sollecitazioni metaboliche indotte dalle associazioni bionutrizionali. Naturalmente, la Bioterapia Nutrizionale si può praticare a vari livelli, iniziando da dati minimi ma adeguati, ferma restando una buona conoscenza della fisiologia. Infatti, “primum non nocere” come atto terapeutico vuol dire iniziare semplicemente a non mettere in ulteriore difficoltà quelle funzioni organiche che risultino alterate, stimolando quelle che sono in deficit. Già saper dare indicazioni molto generali, ma fisiologicamente ineccepibili, equivale a migliorare notevolmente la qualità di vita di un malato, proteggendolo dalla tendenza alla patologia. Nella pratica, il medico nutrizionista attento sarà facilmente intrigato dalle variazioni metaboliche osservate, di cui si sentirà unico artefice, per cui inevitabilmente sarà indotto al piacere professionale di lavorare in modo più preciso e profondo per gestire una patologia e portarla verso una reale guarigione, non semplicemente alla negativizzazione dei sintomi e dei dati di laboratorio.
Un medico nutrizionista deve conoscere le proprietà e le caratteristiche specifiche dei singoli alimenti, tuttavia non è inutile qualche precisazione a questo riguardo. Esiste già una conoscenza abbastanza precisa circa i componenti fondamentali di un determinato alimento, compreso il suo valore in calorie; tuttavia, questa è una conoscenza minima che non basta per poter intervenire efficacemente nella gestione di una patologia. Per utilizzare gli alimenti in senso terapeutico è indispensabile soprattutto conoscere a fondo la fisiologia e la fisiopatologia degli organi e delle funzioni organiche, sapendo che ogni alimento, con i suoi contenuti, associati a quelli di altri cibi, può esplicare delle precise azioni di modulazione in senso terapeutico o di disturbo patologico. Uno stesso alimento associato con un alimento ad esso opposto, oppure ad esso complementare, ha due destini e due effetti totalmente diversi.
Esistono oggi dei seri problemi riguardanti la qualità degli alimenti che bisogna conoscere a fondo per poter discriminare tra i sintomi della malattia e gli eventuali sintomi provocati dagli alimenti stessi. Le regole del mercato sembrano prevalere su ogni criterio di genuinità e di ricchezza vitale dei cibi. Abbiamo, infatti, problemi legati alla produzione, alla conservazione, alla distribuzione. Se ne potrebbe concludere che è inutile discriminare gli alimenti di varia provenienza “tanto sono tutti inquinati”. Se a questo si aggiunge che l’aria è normalmente inquinata, al pari dell’acqua e dei terreni, il quadro è sicuramente molto pessimistico (vedi l’aumento notevole delle patologie degenerative e tumorali, non dovute solamente all’aumento dell’età media della vita, poiché riguardano sempre di più soggetti in età giovanile). Nonostante tutto, si riesce a sopravvivere, in virtù delle imprevedibili e miracolose capacità di adattamento dell’organismo; probabilmente le generazioni future si selezioneranno per resistere meglio. Al momento, tutto è affidato ai notevoli meccanismi di difesa ed di auto-riequilibrio propri dell’organismo sano. Ogni attentato all’efficienza di questi ultimi è, comunque, sempre un reale attentato alla salute. Una osservazione clinica sul campo, che può essere utile come linea guida, riguarda la buona capacità dell’organismo di sopportare la tossicità causata agli alimenti dai trattamenti (diserbanti, concimi, antiparassitari) effettuati quando l’alimento stesso era ancora in produzione, cioè metabolicamente vivo. Ciò è possibile perchè l’alimento stesso, durante il trattamento subito, metabolizza le sostanze tossiche difendendosene; e questo le rende, così modificate, quasi totalmente eliminabili dai nostri processi di difesa e dagli emuntori. Infatti, il monitoraggio quotidiano dell’urina, effettuato a casa dallo stesso paziente, rivela la capacità organica di eliminazione, in assenza quasi totale di sintomi clinici.
Molto più insidiosi e dannosi sono i trattamenti somministrati quando l’alimento è stato già tolto dal suo habitat naturale, e quindi è metabolicamente rallentato nelle sue capacità di difesa e di eliminazione. In particolare, l’organismo tollera molto meno tutte quelle manipolazioni a cui vengono sottoposti gli alimenti per essere idonei alla conservazione industriale, come antiossidanti, coloranti, antifermentativi, stabilizzanti, conservanti, antibiotici o antimicotici nei prodotti surgelati industrialmente, oppure antiputrefattivi, maturanti, ecc., utilizzati nei prodotti ortofrutticoli. In questo secondo caso, il rischio di danno organico persistente è molto maggiore.
In effetti, l’alimento ancora vitale riesce a metabolizzare e ridurre la tossicità di un prodotto nocivo somministrato in questa fase, cosa che non si verifica, per esempio, nei processi di maturazione artificiale delle banane o dell’ananas, negli additivi del vino rispetto ai trattamenti effettuati all’uva, nel processo di gasatura delle arance, ecc. In condizioni di efficienza delle funzioni emuntoriali, un organismo sano riesce ancora a non patire l’insulto tossico quotidiano, o quantomeno a gestirlo senza sviluppare necessariamente una patologia acuta. Non è possibile prevedere l’incidenza e i danni in termini di patologie cronico-degenerative nei prossimi decenni, tenendo conto che già oggi si hanno segnali di forte aumento.
Se ne deduce che in Bioterapia Nutrizionale particolare attenzione deve essere dedicata a tutti quei meccanismi metabolici che tendono a neutralizzare ed espellere i metaboliti tossici. E’ importante saper discriminare all’interno delle offerte pubblicitarie tra bisogni reali ed illusori. Una prima difesa è quella di limitare al massimo, confinandoli solo all’emergenza, tutti gli alimenti trattati industrialmente per favorire la lunga conservazione. Lo sforzo per tutti noi dovrebbe essere quello di utilizzare gli alimenti quanto più possibile nelle condizioni e nei tempi in cui la natura li propone.
Per esempio, il latte a lunga conservazione è sicuramente prezioso per quelle situazioni o luoghi geografici nei quali non può essere disponibile giornalmente. Tuttavia, i procedimenti industriali per allungarne la durata sono tali da non poterlo consigliare per l’uso quotidiano, anche in considerazione dell’aumento costante delle allergie ed intolleranze alimentari. I prodotti surgelati sono molto comodi ma, mentre la congelazione domestica di un prodotto fresco non costituisce una controindicazione importante, purché eseguita in modo corretto e rispettandone i tempi di scadenza, in quanto mai addizionata di alcunché, il prodotto surgelato industrialmente viene, nel rispetto della Legge che ne stabilisce limiti e condizioni, addizionato per esempio di antimicotici per evitare le muffe, di conservanti vari, antiossidanti, additivi, ecc., in misura percentuale sicuramente non nociva. Ma non è difficile comprendere come, il fatto di consumare molti alimenti surgelati nello stesso giorno, possa far superare facilmente quella soglia di sostanze dannose che in ogni singolo alimento sono al di sotto del limite di tolleranza stabilito dalla legge. Perciò è preferibile sempre utilizzare l’alimento fresco, tanto più in un organismo che manifesti difficoltà metaboliche o patologie manifeste.
Il mercato è legato anche alla modalità di presentazione al pubblico dell’alimento stesso, al suo aspetto estetico, alla sua grandezza, al suo prezzo, alla sua conservabilità e, soprattutto, alla sua comodità di impiego (vedi minestroni surgelati, pasti precotti, ecc.). Non sempre però ciò che sembra bello è anche buono e, in ogni caso, è conveniente compendere che questo modo di gestire l’alimentazione, utilissimo in particolari circostanze, non può diventare la norma poiché non è consono alle reali necessità degli esseri umani. La mela di Biancaneve era appetibile e desiderabile, ma nascondeva il veleno!
Stesse considerazioni possono valere circa l’uso prolungato o improprio dei farmaci. Questi sono comunque delle sostanze estranee, rispetto alle quali l’organismo si trova costretto prima a trattenere liquidi per metabolizzarli, poi ad attivare i processi di eliminazione. E’ facile verificare questo accadimento, controllando il peso di un soggetto prima e dopo l’assunzione di un farmaco, per notare come aumenti in modo significativo. Con una corretta alimentazione drenante, in poche ore il peso tornerà alle condizioni di partenza.
Nei soggetti che assumono farmaci per lungo tempo, questo incremento ponderale (da aumento della quota liquida) si arresta per un blocco e/o per l’intervento di meccanismi di accumulo dei cataboliti tossici. Infatti, l’organismo, non potendo, nell’immediato, liberarsi delle sostanze estranee perchè troppe o ripetute nel tempo, è costretto a cercare luoghi di “stoccaggio” in attesa di eliminarle in futuro. I tessuti che svolgono questo ruolo di discarica sono il fegato, i muscoli ma, soprattutto, il tessuto adiposo. Si comprende quindi come nelle diete ipocaloriche severe vengano liberate bruscamente tutte le tossine accumulate nel tempo. Queste troveranno un organismo energeticamente carente, quindi al di sotto delle sue possibilità funzionali. Il risultato a volte è molto grave, con disturbi del sistema nervoso, degli emuntori o del sistema endocrino.
Bisognerebbe invece agevolare la spontanea tendenza della natura a mantenerci in equilibrio, troppo spesso provata dalle nostre cattive abitudini di vita. Si tende a dimenticare con troppa facilità che l’Uomo esiste da tempi molto più antichi delle prime forme di medicina. La forza riparatrice della natura è la più importante e la più potente, quando non venga contrastata, ma agevolata. La Medicina sta oggi prendendo sempre più coscienza del fatto che il risultato immediato, che si può ottenere con un uso acritico dei farmaci, non sempre paga nel tempo. Infatti, per alcune patologie anche gravi, come l’epilessia infantile benigna, in letteratura sempre più si tende a considerare non conveniente l’uso immediato del farmaco, in quanto si sta osservando una non significativa incidenza sui tempi di guarigione, a fronte degli effetti collaterati certi.
La revisione critica operata dalla Medicina moderna tende a ridurre la prescrizione farmacologica in ambiti e tempi più precisi. Molte delle indicazioni date come certe, anche in ambito nutrizionale, andrebbero riviste nei termini della fisiologia e della fisiopatologia. Messaggi travisati da regole esterne possono facilitare patologie latenti. L’uomo ha offuscato degli impulsi istintivi di sopravvivenza, sostituendoli con delle conoscenze fisiologiche spesso mal interpretate, cosa che non succede negli animali in libertà: il gatto costipato salta il pasto, va in giardino, mangia erba per vomitare, digiuna finché è necessario e supera le difficoltà digestive. Nell’era delle macchine diagnostiche, il medico tende a dimenticare quei dati di osservazione semeiologica che invece possono dare indicazioni circa lo stato degli organi interni in modo molto più “vivente” e dinamico di qualunque indagine strumentale.
Importantissima è l’osservazione delle abitudini, della forma del corpo e del suo movimento, del viso e della sua mimica. Una eventuale fissità dello sguardo, un lieve esoftalmo o, situazione anche più grave, un infossamento dei globi oculari fanno ricordare che l’occhio, oltre ad essere “lo specchio dell’anima”, come comunemente si dice, anatomicamente è il proseguimento all’esterno delle strutture cerebrali, è la “presa di contatto” con il mondo esterno da parte del cervello. Osservare i “segni” dello stato di vitalità di un organismo vivente è qualcosa che le macchine, per ora non possono fare, e chi sà se ne saranno mai capaci. Capita spesso che tutti i dati strumentali e di laboratorio siano negativi, mentre il soggetto dichiari o mostri segni di reale malessere etichettati come disturbi neuro-vegetativi, immancabilmente seguiti a poca distanza di tempo da patologia organica a volte severa.
A differenza di una macchina che ha un indice di adattabilità sempre relativo, il corpo umano ha una resistenza ed una elasticità enormi. Esso non è stato programmato per le relativamente facili condizioni di vita odierne, ma ha superato piu volte in passato condizioni ambientali molto ostili alla vita. La lotta per procurarsi il cibo, i periodi di siccità o di carestia, la necessità di adattarsi al freddo e al caldo intenso, la guarigione delle ferite senza disinfettanti, la riparazione delle fratture senza gessi, sono Storia non troppo lontana e, purtroppo, tutt’ora attuale per tante popolazioni. L’Uomo, comunque, ha potuto evolvere grazie a meccanismi difensivi molto efficienti, a riserve e funzioni che sono sempre molto superiori rispetto ai reali bisogni quotidiani. Basta un terzo di fegato, per esempio, per assolvere a tutta la complessa funzionalità epatica, basta un solo testicolo per generare, la stessa pelle ha una capacità illimitata di rigenerazione, ecc.
La Bioterapia Nutrizionale è quanto di più individuale si possa immaginare come prescrizione alimentare. Addirittura, la prescrizione dietetica è continuamente mutevole, a seconda della risposta dell’organismo, per cui non esistono schemi di base, ma è fondamentale comprendere il quadro fisiopatologico dal quale si parte, monitorare con i dati di laboratorio i sintomi soggettivi del paziente e i dati oggettivi semeiologici, e quindi adattare, a volte giornalmente, e qualche volta ora per ora, l’indicazione alimentare, per guidare l’organismo nella direzione voluta.
Viviamo una filosofia medica che tende continuamente a risolvere i problemi della patologia andando a sostituirsi a quelle che sono le naturali capacità difensive del sistema vivente. Ci si dimentica che tutto nell’organismo lavora solitamente in funzione della vita e non della morte, per cui il medico è tale quando sa rendersi conto della necessità o meno di somministrare un farmaco, sapendo vigilmente aspettare e sapendo fattivamente aiutare, senza mai impropriamente sostituire la difesa organica.
Tutto ciò avendo la consapevolezza che esiste una forza riparatrice di base, la cui potenzialità è di gran lunga superiore a tutti i presidi farmacologici orientati a sopprimere i sintomi o a sostituire le difese organiche.

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